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L'Inchiesta 6/2005 | pagina 6

Nodi al pettine - Bordelli: solo questione di tasse?
Sarà che mi manca quella visione disincantata tipica di chi sa valutare la realtà prevalentemente in termini di entrate/uscite. Una visione scevra da qualsivoglia richiamo idealista e che i tedeschi definiscono nüchtern...

Eppure, proprio non riesco a concepire come una società definita civile, e ovunque nel mondo nota per le sue buone maniere, possa considerare la messa in vendita del proprio corpo ed il giro d'affari che vi ruota intorno come un mestiere qualsiasi. Infatti, secondo uno dei sistemi più efficienti quale lo è appunto il nostro, la prostituzione è un dato di fatto, dunque una consuetudine più che accettabile. Sempre? Certo che no! In proposito vi sono regole ben precise e severissime.

Ciò che legittimizza o meno la questione, udite udite!, altro non è che la verifica da parte di zelanti funzionari sullo stato giuridico delle signore e signorine coinvolte.

Anni fa, leggendo di "lotta alla prostituzione in Svizzera", molto ingenuamente pensavo che ci si riferisse al fenomeno in generale. Invece ho poi capito, con mia grande sorpresa, che in realtà gli sforzi dello Stato riguardano sempre e solo un aspetto della prostituzione, quella clandestina.

In definitiva, quindi, si tratta semplicemente di escludere dal business coloro che, non avendo potuto ottenere un regolare permesso di soggiorno (dato che in merito è previsto il cosiddetto "contingente" specifico da rispettare, calcolato non si capisce come in base alle esigenze della popolazione e superato il quale non è più possibile ottenere un permesso), risultano essere prostitute clandestine e, dunque, indesiderate. Di conseguenza, vengono allontanate dal territorio svizzero. E tutto perché, essendo costrette ad esercitare in nero, non pagano le tasse! Evviva il progresso.

Nella patria di Guglielmo Tell, l'importante è dunque che all'occhio vigile dei funzionari statali non sfugga la verifica del possesso o meno di un regolare permesso di soggiorno da parte di chi esercita il mestiere più antico; il che, ribadisco, in parole povere significa né più né meno questo: un certo numero di donne provenienti dai Paesi più poveri, giacché ormai è lì che viene reclutata questo tipo di manodopera, sono autorizzate a vendersi nel nostro Paese e altre persone possono altresì lucrare sulla compravendita. Le altre restino a guardare, anzi se vadano proprio!

Affinché le prostitute, spesso definite eufemisticamente artiste o ballerine, mentre a Zurigo sono da tempo chiamate lavoratrici sessuali (a quando la definizione di operatrici sociali?) possano esercitare in pace, è dunque sufficiente che siano in regola. In definitiva, ciò significa essere in grado di quantificare i loro introiti (quanto rende soddisfare 10, 20, 30 o persino 40 clienti al giorno?) e di conseguenza pagare le imposte. Tramite un tale elementare ragionamento, risulta evidente che, per il sistema svizzero, combattere la mercificazione sessuale diventa del tutto superfluo dato che questo tipo di mercato risulta estremamente redditizio per le casse dello Stato!

Con la scusa di difendere la libertà di scelta personale, nonché di evitare così la prostituzione illegale, ecco che non ci si fa scrupolo alcuno a legittimizzare la tratta (legale!) di esseri umani.

Uno squallido commercio operato per mano di sedicenti agenzie (magnaccia, si sa, è una brutta parola...) che provvedono a reclutare carne fresca a poco prezzo. E la cosa più triste e assurda è che tutti quanti traiamo benefici da questo squallido e ignobile commercio. Ma è davvero ammissibile che uno Stato guadagni sui fallimenti, sulla solitudine, sulle insicurezze e perversioni della gente (per chi non lo sapesse: "pioggia dorata", prestazioni sadomaso ecc. sono richieste molto gettonate) nonché su una forma di nuovo colonialismo e dunque sulla povertà? Fa davvero parte del vivere civile ridurre il sesso a pagamento ad una questione di cifre, ossia di reddito imponibile?

Così, dopo aver constatato che il Ticino è diventato terra di conquista per un settore che, a quanto pare, non conosce crisi (ma non era iniziata l'era della liberazione sessuale?) chissà... magari anche le new generations della popolazione femminile svizzera si adegueranno alle nuove tendenze e decideranno che, tutto sommato, se non si apriranno nuovi sbocchi, resterà pur sempre aperta la via dell'arte.

In fondo, basta iscriversi all'apposito registro, dichiarare il guadagno lordo, sottrarre le dovute deduzioni fiscali... et voilà! Davvero più semplice che iscriversi all'università o svolgere le ricerche di lavoro per ottenere l'indennità di disoccupazione (senza contare che lo status di ballerina è senz'altro più chic).

elena.walder@inchiesta.ch

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